L’ambientalismo, come noto, è (o dovrebbe essere) teoria e prassi globale.
Come ricorda un antico, ma non usurato, slogan degli ecologisti: pensare globalmente, agire localmente.
Andrea Segrè porta alla ribalta la piccola e, in verità, grandissima, rivoluzione concreta che predica al livello dei comportamenti dei singoli e dei cittadini associati nella direzione della sospirata e necessaria riduzione degli sprechi e dello scialo.
In Vivere a spreco zero (Marsilio, pp. 160, euro 12), lo studioso (direttore del Dipartimento di scienze e tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna e creatore e deus ex machina del Last Minute Market) indica una serie di ricette – anche molto concrete – per combattere la società dell’eccesso e dello sperpero e incamminarsi con decisione verso una situazione di rifiuti zero, adottando anche la Zero Waste Strategy teorizzata dal chimico Usa Paul Connett e realizzata con significativi risultati in varie città anglosassoni.
Come (troppo) spesso accade, anche nell’immondizia ci confermiamo un Paese che non riesce a essere normale, tanto che – evidenziano i dati di Istat ed Eurostat – i rifiuti da noi crescono anche quando la ricchezza e il benessere materiale diminuiscono (per di più fortemente, come durante gli ultimi anni).
Bisogna, quindi, agire alla radice, promuovere sostenibilità e rinnovabilità e facilitare una rivoluzione culturale negli stili di vita. Di buono dunque c’è, se solo lo si vuole, che ciascuno può dare il proprio contributo come consumatore avvertito. L’idea di società dell’«opulenza frugale» e dell’«abbondante sobrietà» che Segrè ha in testa passa anche, in maniera importante, per gesti e atti della quotidianità e per microsoluzioni in grado di dare una bella sterzata, dagli elettrodomestici al riutilizzo dell’acqua di cottura della pasta piuttosto che dei fondi di caffè.